01 Mar PERCHÉ IL BIOPACKAGING È COSÌ IMPORTANTE
Negli ultimi anni si è sentito parlare molto di concetti come “biopackaging“, “packaging sostenibile” e “green packaging“. Questo perché il consumatore medio oggi è più informato e consapevole rispetto ai temi che riguardano la sostenibilità, compreso l’impatto ambientale del mercato del packaging e degli imballaggi alimentari.
Come è noto, il settore del packaging è responsabile di alte emissioni di CO2 e di inquinamento ambientale dovuto alla produzione e smaltimento dei materiali. Proprio a questo riguardo nasce nel 2019 il progetto ABRIOPACK, finanziato dal Bando “Sostegno alla creazione e al funzionamento di Gruppi Operativi del PEI – Sottomisura 16.1 Azione 2” Annualità 2017 – PSR Marche 2014/2020.
L’obiettivo di ABRIOPACK è duplice: non solo si punta a realizzare un packaging biodegradabile e compostabile adatto alla conservazione delle carni avicole ottenute con metodi di produzione biologici e antibiotic-free, ma anche a valutare l’effetto dei materiali di scarto di questo processo (pollina e bioplastiche) sui suoli destinati alla produzione della materia prima agricola, in ottica di economia circolare. Ma perchè realizzare un biopackaging è così importante?
Biopackaging – cosa pensano gli italiani
Secondo le ultime ricerche, il sistema italiano del riciclo dei rifiuti è uno dei migliori in Europa, con una media di 23 kg/abitante anno di materiale riciclato. Il dato positivo sembra confermato da una ricerca Ipsos del 2019, in cui i consumatori hanno affermato di valutare la sostenibilità delle aziende sulla base dell’ecosostenibilità degli imballaggi. Anche Altroconsumo riporta ad esempio che 4 acquirenti su 10 sono attenti all’imballaggio dei prodotti, con ben il 55% dei consumatori disposto a pagare di più per la sostenibilità.
Ma se le cose stanno così, perché solo il 25% dei marchi offre prodotti green?
Dal dire al fare, ci va di mezzo il mare
Il problema è che anche se la maggior parte degli italiani è realmente preoccupata dall’inquinamento, non fa abbastanza per impedirlo. Nel 32esimo rapporto Eurispes, infatti, si legge che il 33% degli intervistati rinuncerebbe con molta fatica alle bottigliette d’acqua o alle pellicole trasparenti per gli alimenti. Pochi sanno che l’Italia è il maggior produttore al mondo di beni di consumo di plastica e il secondo più grande responsabile dell’inquinamento del Mediterraneo, in cui vengono riversate 570mila tonnellate di plastica all’anno.
Nel 2050, stima la Commissione Europea, il peso delle plastiche nei mari sarà superiore a quello dei pesci.
Le conseguenze per la nostra salute
Le conseguenze chiaramente si rendono evidenti nell’intero ecosistema, noi compresi. Pensa che ogni anno 2,1 milioni di tonnellate di plastica vengono impiegate per gli imballaggi, il 76% di questi fa parte del settore Food&Beverage. Quando questi imballaggi vengono riversati in mare, si degradano e diventano microplastiche, ovvero particelle di materiale plastico con dimensioni inferiori a 5 millimetri: una volta presenti in mare, gli organismi marini le scambiano per cibo, oppure li ingeriscono attraverso le loro prede. Secondo il WWF, ogni settimana possiamo ingerire oltre 5 grammi di microplastiche (l’equivalente di una carta di credito) attraverso l’aria, l’acqua, la frutta o prodotti ittici. Questo viene dimostrato anche dal fatto che microplastiche sono state ritrovate nelle feci umane, nella placenta e più recentemente anche nel sangue e nei polmoni.
A rendere più gravoso il problema è il fatto che le microplastiche assorbono contaminanti ambientali come metalli pesanti per rilasciarli poi negli organismi che le ingeriscono, insieme ovviamente alle sostanze di cui queste sono fatte, come ftalati e ritardanti di fiamma. Ciò espone gli organismi ad un mix di sostanze tossiche che possono bioaccumularsi e biomagnificare (aumentare enormemente lungo la rete alimentare). Gli effetti più comuni di questa ingestione sono lesioni e infezioni interne, soffocamento alla riduzione dell’alimentazione e nei casi più gravi interferenza con il sistema ormonale, neurotossicità e morte. La scienza sta ancora studiando gli impatti a livello ecosistemico, ma l’ipotesi è che le microplastiche influenzino il ciclo dei nutrienti nei vari comparti ambientali.
La soluzione: il biopackaging
In questo quadro, l’unica soluzione possibile sembra essere innanzitutto informare e formare i consumatori riguardo alle conseguenze delle loro scelte e contestualmente incentivare le aziende ad investire in un packaging ecologico, più facile da smaltire e produrre. Alternative come la carta e l’alluminio aiutano senza dubbio a ridurre l’impatto ambientale degli imballaggi, ma rischiano di diventare insostenibili a lungo termine. Dunque, è necessario che la ricerca scientifica continui a testare altri materiali più sostenibili che rientrino nel concetto di economia circolare. Per questo c’è bisogno di investire in progetti come ABRIOPACK, che tengano conto del sistema di produzione, smaltimento e riciclo dell’imballaggio.
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