Il ramaio

Gli ultimi battitori del rame li ho incontrati a Force, nell’alto ascolano, in un giorno di neve.

I venti che rotolavano gelidi dai Sibillini avevano spinto a casa anche i gatti. Ho trovato il mastro ramaio in una botteguccia fuori paese, di fronte al monte dell’Ascensione. C’erano tredici botteghe fino a quarant’anni fa.

Batteva una “conca” lucente con mazzuolo di legno sul travicello di quercia. La forgia per la ricottura del rame stemperava i rifoli gelati che giocherellavano sulla porta semiaperta.

Un superstite dell’antica arte. Parlammo di tempi lontani, di suo padre, delle fiere, dei magli dell’Aso. Batteva con rabbia e piangeva. Pezzi non finiti, appesi come al museo, raccontavano la fine di un’arte.

Pompe irroratrici, solcatrici, caldai per il vin cotto, scaldini, utensili da cucina, imbuti, recipienti d’ogni misura.

Eppure l’arte del rame ha qui radici profonde: non importa sapere se furono i Longobardi a divulgare il mestiere o i monaci farfensi di provenienza germanica, attivi in tutto il Piceno fin dal X secolo, se fu una florida colonia di zingari nomadi a impiantare le prime botteghe, il fatto è che questo tipico lavoro artigiano non ha più lavoranti.

Agli inizi del ‘900 erano 28 le botteghe aperte. Scomparso è anche il maglio ad acqua sull’Aso, verso S.Vittoria, che forniva ai forcesi le “cave” battute a caldo, da martellare poi in bottega.

Sta scomparendo anche quell’incredibile gergo usato fuori Force nell’attività commerciale in fiere e mercati (per comunicare tra loro e celare i segreti commerciali agli acquirenti inventarono una vera e propria lingua ndr). Una sorta di vocabolario convenzionale che occorrerebbe al più presto recuperare.

Il rame lavorato a macchina, l’alluminio stampato e la plastica hanno ucciso la storia.

Costano poco e valgono meno.

In tempi di ripensamenti profondi anche il rame martellato aspetta il riscatto. Il mondo della scuola e una più attenta rilettura dei valori culturali potranno pescare l’interesse e la frequentazione che il mestiere ampiamente merita.

Massimiliano Montesi (da un testo di Terenzio Montesi per la pubblicazione “Marche: l’Italia che fa”)



Massimiliano Montesi
massimilianomontesi@yahoo.it
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