Antropocene, un’Era come un’altra

Un giorno, seguendo Francesco Petretti, biologo, veterinario, scrittore, disegnatore, fotografo e mattatore di Wild Italy, ho dato il giusto peso alla parola Antropocene.

La “nostra” Era.

Stava parlando di formiche, dicendo che tra 1 milione di anni, sulla terra, magari ci saranno loro. Noi probabilmente no.

Cambriano, Giurassico e Pliocene sono Ere lunghe e lontane.

I dinosauri hanno dominato la terra per 165 milioni di anni. L’uomo ancora non c’era, infatti egli, nella forma moderna, si sviluppò in africa 200.000 anni fa e migrò nei vari continenti appena 50.000 anni or sono.

Un soffio, eppure siamo riusciti già a ipotecare il futuro.

Francesco Petretti, con la sua calma, sensibilità e amore, è uno che riesce ad appassionare parlando di ragni, formiche, api, ma anche di lupi, uccelli, orsi, cervi, cinghiali. E molto altro.

Partendo dall’osservazione e dallo studio della nostra biodiversità. Quella che ci cammina sotto i piedi, tutti i giorni nei nostri giardini, oltre che nelle nostre foreste, montagne, stagni e pianure.

Tutto accade sotto i nostri occhi, letteralmente.

Recupero, rispetto, consapevolezza, rigenerazione, salvaguardia, riscoperta, bellezza, patrimonio, tutela delle risorse: le parole di moda.

E dunque il nuovo umanesimo di cui si parla tanto, che abbia tali valori come obiettivo, è possibile?

Senza ipocrisie, interessi e moralismi, senza guardare lo stuzzicadenti, perdendo di vista la trave.

O riusciremo semplicemente a distruggerci da soli in un mondo usa e getta?

Quello che è certo è che occorre sapersi fermare, riconoscere i limiti, ammettere di dover guardare “indietro” e pensarci meglio. Questa è intelligenza e civiltà.

Ad esempio 1 kg di prugne cilene deve volare per 12.000 km con un consumo di 7,1 kg di petrolio che liberano 22 kg di anidride carbonica.

Eppure abbiamo bisogno di un suadente gelato con ingredienti dai 5 continenti anziché quello artigianale sotto casa.

Ci sentiamo digitali acquistando cose spesso inutili da casa. Dimenticando che poi un povero cristo ce le deve portare comunque in modo fisico.

D’altronde il coronavirus ha già dimostrato che vedersi virtualmente è monco, non basta, perché il contatto umano è insostituibile. L’uomo vive di passioni. Emozione e passione sono insite da sempre in noi, non è un’invenzione dei social media.

Usiamole bene, allora, le nostre ataviche pulsioni!

E utilizziamo meglio il vantaggio tecnologico che abbiamo. L’uomo può essere una creatura meravigliosa, se vuole.

Restituiamo alle parole il loro significato originale e pensiamo alle cose serie.

Tutti siamo ecologisti, e come non essere d’accordo, ma nei fatti?

Quanti di noi pensano, ad esempio, al rapporto che sussiste tra il cibo che mangiamo e il suolo da dove esso proviene? Qual è l’impatto sull’ambiente di ogni nutriente che introduciamo nel nostro corpo? Siamo o no quello che mangiamo, o è solo un modo di dire?

Siamo consapevoli del ruolo che potremmo avere con le nostre scelte alimentari o continuiamo a dare la colpa agli “altri”?

Ecco, per parlare di questo nuovo umanesimo, forse dovremmo rinunciare a qualcosa in nome di un bene più grande, cambiare abitudini. A cominciare da quelle piccole e quotidiane.

Non è fantascienza, anche l’acqua, non in Africa, ma vicino a noi, per alcuni è già un lusso.

Intanto in 50 anni abbiamo perso i due terzi della fauna selvatica (studio WWF), bruciano e bruciamo foreste e città, produciamo CO2 che, a parte il riscaldamento globale, si insinua nelle falde favorendo anche i terremoti (pubblicato sulla rivista “Science Advances”).

Mandiamo milioni di mail inutili.

Una mail di un mega crea emissioni di CO2 quanto una lampadina da 60 watt accesa per mezz’ora (Piero Angela a Superquark).

Tutto è interconnesso. Ad ogni azione corrisponde una reazione, invisibile, lenta a volte, ma inesorabile.

Ma cosa serve per farci rendere consapevoli, ma sul serio? Chi ce lo deve dire?

Forse Amin Maalouf, con il suo libro premonitore “Il naufragio delle civiltà”?

Quale titolo migliore per ricominciare?

Presto, perché la terra sta urlando, ma con una mela (inquinata) in bocca.

La mela siamo noi.

Massimiliano Montesi



Massimiliano Montesi
massimilianomontesi@yahoo.it
No Comments

Post A Comment

Top