La ricchezza della frutta “povera”

Tra le varie regole per aiutare il suolo a ritrovare il suo equilibrio e la sua vitalità, le nostre scelte alimentari dovrebbero guardare all’aspetto della stagionalità e della territorialità. Ciò vale in modo importante anche per la frutta.

Oggi dedichiamo questo articolo alla frutta dimenticata, povera nel lignaggio ma sempre ricca di vitamine e sali minerali.

Sicuramente di maggior valore aggiunto rispetto a quella proveniente da chissà dove, che, viaggiando per migliaia di chilometri, produce emissioni e che, per affrontare lo stress, viene trattata artificialmente per poi presentarsi all’occhio luminescente e perfetta nel colore e nella forma.

Nelle campagne marchigiane sovente possiamo incontrare la bellezza e la bontà della frutta che, a parte qualche caso, vediamo sprecata, inutilizzata. La natura non spreca mai nulla e perciò l’appannaggio passa al suolo, agli animali terrestri e del cielo. Una consolazione.

Qualche illuminato imprenditore ha riscoperto la nespola, la sorba, certi fichi e certe ciliegie, la carruba, le “melelle” e le “perette”, il corbezzolo, il caco, la giuggiola, il melograno, la mora di gelso per liquori, succhi e confetture, ma sono azioni pionieristiche, seppur animate da grande passione e rispetto. Il mercato ha bisogno di domanda e volumi, non sempre appetibili allo stato attuale delle logiche di business. E intanto stiamo perdendo qualcosa.

Ma, a parte l’aspetto nutrizionale, parliamo di storia e bellezza.

Sapevate ad esempio che il corbezzolo fu spesso citato da Teofrasto, Teocrito, Virgilio, Ovidio e Plinio in quanto ritenuto sacro dai Romani?

O il melograno, scrigno di rossi rubini, simbolo di fecondità e anch’esso sacro. Il suo nome originario era Punica granatum, in quanto si riteneva fosse di origine fenicia-cartaginese e ricco di grani. In effetti però il melograno pare giunga qui da noi nell’epoca classica dalle aree del Caucaso, dell’Iran, dell’Afghanistan, del Pakistan. La “granatina”, bibita rinfrescante e dissetante, un tempo si preparava in Spagna e in Italia spremendo i chicchi del melograno. Oggi ci sono i succhi industriali.

Senza considerare la sua bellezza cangiante e ricca di chiaroscuri, soggetto preferito da innumerevoli pittori.

Quante volte girando in macchina o nelle passeggiate fuori porta vediamo tutti questi frutti preziosi della terra schiacciati nelle strade o lasciati marcire sulla pianta, quasi un impiccio. La moderna e vorace agricoltura ne ha risparmiati alcuni, ma sono sempre meno, che continuano a lottare e a soffrire in silenzio.

Se potessero parlare, quante cose avrebbero da dirci e da darci.

Bellezza dicevamo.

Mi è capitato di vedere un campo innevato con un solitario albero di cachi. L’arancione degli innumerevoli frutti sul bianco e immenso fondale mi tolse il respiro, colto di sorpresa. Quando la Natura riposa d’autunno è il caco che ci regala gli ultimi sprazzi dei colori dell’estate. Solo per questo dovremmo rispettarlo e amarlo.

Ogni frutto perduto ha la sua storia da raccontare, la sua dignità, la sua funzione, il diritto di esistere. Per il nostro bene.

Cibo, suolo, salute, biodiversità, tutela ambientale, storia e bellezza: il menù è servito.

Massimiliano Montesi



Massimiliano Montesi
massimilianomontesi@yahoo.it
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