18 Ott ADATTARE I VITIGNI AL CAMBIAMENTO CLIMATICO: IL PROGETTO NEW VINEYARD
Nel 2020 ha inizio il progetto New Vineyard, finanziato dal Bando “Sostegno alla creazione e al funzionamento di Gruppi Operativi del PEI – Sottomisura 16.1 Azione 2” Annualità 2019 – PSR Marche 2014/2020. Il progetto, in cui ARCA si occupa di informazione e divulgazione in collaborazione con la CIA, nasce dal bisogno di conservare e proteggere la produzione vinicola regionale e nazionale, messa in pericolo dai cambiamenti climatici.
L’obiettivo di New Vineyard è perciò l’introduzione di nuovi sistemi di allevamento della vite, di utilizzo di reti schermanti e antigrandine e l’adozione di nuove tecniche di gestione del suolo (inerbimenti multifunzionali a strisce). Ma cosa sta succedendo alle nostre vigne a causa del climate change? E quali sono i suoi effetti?
Gli effetti sulla produzione del vino
L’aumento globale delle temperature sta già incidendo significativamente sulla qualità dell’uva, che negli ultimi anni ha subito importanti variazioni di carattere sensoriale e organolettico. Edoardo Dottori, titolare dell’omonima azienda partner del progetto New Vineyard, spiega che “sempre più frequentemente, infatti, al momento della vendemmia, otteniamo uve sbilanciate, con un’elevata concentrazione zuccherina, un alto pH e un basso contenuto acidico, il che si traduce in vini piatti e con un elevato contenuto alcolico.” Dato che la richiesta attuale del mercato propende verso vini freschi e con un moderato contenuto alcolico, è fondamentale trovare sistemi di adattamento al cambiamento climatico che affrontino i problemi descritti, lavorando per valorizzare e conservare le eccellenze dei vitigni marchigiani.
A ciò si aggiunge un’altra importante conseguenza, che si traduce nel problema delle vendemmie anticipate e nella migrazione a quote più alte e verso Nord dei vigneti. Esemplare è il caso dell’azienda norvegese Slinde Vineyard.
Anche chi non è esperto del campo, sa che i vigneti maturano tra i 30 e i 50 gradi di latitudine. L’azienda di Bjørn Bergum, però, è nata al 61esimo parallelo nord, lo stesso in cui si collocano Alaska e Russia per intenderci. La ragione? Secondo i proprietari del vigneto, il clima in Norvegia è molto cambiato negli ultimi anni, con meno gelate, più pioggia e clima mite. Oggi, grazie a numerosi esperimenti e tentativi, non solo è possibile coltivare vigneti in Norvegia, ma è anche possibile farne un buon prodotto. Il vino norvegese di Bjørn, ad esempio, ha vinto alcune medaglie e punta ad espandersi all’estero.
L’aumento delle temperature causa la perdita dei vitigni
Se da un lato l’aumento delle temperature avvantaggia la produzione vinicola nelle regioni più a nord, potrebbe causare una catastrofe nelle attuali regioni leader in questo tipo di produzione. Secondo un recente studio infatti, se la temperatura globale dovesse alzarsi di 4°, rischieremmo di perdere l’85% delle aree coltivabili a vite. Anche se queste aree venissero riconvertite alla coltivazione di un’uva più adatta ad un clima caldo, si perderebbe comunque il 24% delle aree coltivate. In Italia e in Spagna, la situazione potrebbe essere ancora peggiore. La perdita di terra nelle aree più popolari, infatti, potrebbe colpire il 90% del suolo in Italia e Spagna.
Altre conseguenze disastrose sono causate da fenomeni meteorologici più intensi, come le gelate o le grandinate. Nonostante il fenomeno delle gelate esista da sempre, negli ultimi anni si ha a che fare con temperature medie più alte, le quali fanno sì che le piante fioriscano precocemente rendendole più vulnerabili a questi eventi. Una tragica testimonianza del fatto è avvenuta lo scorso aprile in Pianura Padana, dove una gelata ha provocato una perdita di produzione del vino stimata tra il 40 e il 70%. Attilio Scienza, Professore ordinario di “Viticoltura” presso l’Università degli Studi di Milano, illustra i motivi per cui una gelata può provocare tali danni. “La gelata, infatti,”- spiega il Professore- “fa condensare l’acqua presente negli spazi intercellulari che, a sua volta, provoca la plasmolisi, ovvero la fuoriuscita dell’acqua dalle cellule ed il loro conseguente collasso. L’uscita dell’acqua rappresenta un meccanismo estremo di salvaguardia perché nella cellula insieme alla concentrazione di soluti, si abbassa il punto crioscopico (o punto di congelamento). Quest’acqua che si accumula negli spazi intercellulari gela e bastano poche ore con temperature di -3°C/-4°C per avere danni permanenti alla vegetazione, soprattutto se l’abbassamento di temperatura è particolarmente brusco.”
Possibili soluzioni dal progetto New Vineyard
A questa drammatica situazione possono venire in soccorso i nuovi sistemi di allevamento messi a punto nel progetto New Vineyard. Infatti, i sistemi High Cane e Grape Net sono stati progettati proprio per adattare la viticoltura biologica nelle Marche all’attuale contesto climatico.
Il sistema “High Cane”, commenta Vania Lanari dell’Università Politecnica delle Marche, prevede che il filo portante sia “assicurato a 1,1 m da terra, così da permettere lo sviluppo di una parete vegetativa bassa controllata con ripetute cimature dei germogli, che andranno a stimolare lo sviluppo di femminelle, la cui azione competitiva nei confronti dei grappoli indurrà un rallentamento della maturazione degli acini, in termini di accumulo zuccherino.” Le femminelle andranno così a costituire un “cappello ombreggiante” che porterà ad una condizione di luce diffusa nella fascia produttiva, riducendo i danni da scottature e mantenendo un maggior livello acidico (per rallentamento della respirazione dell’acido malico), fondamentale per la freschezza dei vini. “Il limitato sviluppo in altezza delle chiome”, continua la Dottoressa Lanari, “permetterà di ridurre il fabbisogno idrico del vigneto migliorando la sua resilienza nei confronti dei fenomeni siccitosi. L’aumento della distanza da terra della fascia produttiva contribuirà a mitigare il rischio dei danni da gelate tardive e faciliterà la gestione delle malerbe che crescono nel sottofila dei vigneti gestiti in biologico.”
Il dispositivo “Grape net” è invece basato sull’utilizzo di una rete schermante a protezione della fascia produttiva con un duplice scopo: proteggere i grappoli da eventuali grandinate e schermare i grappoli dalla radiazione diretta, contribuendo al rallentamento della maturazione delle uve, al mantenimento del contenuto acidico e dei precursori aromatici.
I primi risultati sono incoraggianti e mostrano un miglioramento della fertilità del suolo agrario nei vigneti biologici. A breve, sarà realizzata una visita in campo per valutare insieme ai professori Rodolfo Santilocchi e Vania Lanari la crescita degli inerbimenti e la gestione del suolo.
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